Questa è la storia di un veliero che un giorno decise di salpare per il cielo. Non si sa mai con sufficiente anticipo quale sarà la parte del tuo corpo che marcirà per prima bruciando tra le fiamme del tuo inferno. L'unica certezza che si ha è un bruciore in corrispondenza del punto di putrefazione. Finché questo momento non arriva, non fai altro che penetrare i tuoi artigli nel corpo di chi ti sta accanto.
Una volta i miei artigli hanno sfiorato la superficie dell'oceano e lentamente ne hanno tracciato gli orizzonti. A sinistra riuscivo a tendere la mia mano sotto superfici ghiacciate, levigate, sotterranee, che al solo sfiorarle la mia mano scivolava via. Appena pochi centimetri più su, le mie dita scorgevano una duna nel deserto, la naturale dilatazione di un corpo rilassato. E lentamente, mentre il vento dell'imbarazzo soffiava in direzione opposta alla mia, la mia mano risaliva la piccola duna, che come levigata dallo stesso vento, si distendeva.
Le mie dita si allungavano e il mignolo riusciva a sentire dell'altro ghiaccio e del'altra sabbia, in maniera speculare. E poi, continuando a percorrere la corrente di un canale che mi portava giù, scorsi un campanellino che, al solo tocco, emanava uno squillo di felicità. E mi divertivo a fargli tante capriole intorno, così da farlo suonare: era bello assaporarne la felicità.
Il tutto come a tessere una storia descrivendo solo il paesaggio circostante. Come se ogni poro della pelle fosse collegato agli altri attraverso il passaggio delle dita, in grado di mescolare le sostanze presenti su di essi.
Da quel giorno avverto un leggero bruciore percorrere le linee della mia mano.
Se la chiudo sento ancora la forza del vento che, non più carico di pudore, cerca di placare il mio bruciore, ma non è detto che non sia lui stesso ad alimentare queste ferite.
trafiggimi il cuore!
Contributo visivo: Salvator Dalì posa in "Voluptas Mors", foto di Philippe Halsman, 1951
Una volta i miei artigli hanno sfiorato la superficie dell'oceano e lentamente ne hanno tracciato gli orizzonti. A sinistra riuscivo a tendere la mia mano sotto superfici ghiacciate, levigate, sotterranee, che al solo sfiorarle la mia mano scivolava via. Appena pochi centimetri più su, le mie dita scorgevano una duna nel deserto, la naturale dilatazione di un corpo rilassato. E lentamente, mentre il vento dell'imbarazzo soffiava in direzione opposta alla mia, la mia mano risaliva la piccola duna, che come levigata dallo stesso vento, si distendeva.
Le mie dita si allungavano e il mignolo riusciva a sentire dell'altro ghiaccio e del'altra sabbia, in maniera speculare. E poi, continuando a percorrere la corrente di un canale che mi portava giù, scorsi un campanellino che, al solo tocco, emanava uno squillo di felicità. E mi divertivo a fargli tante capriole intorno, così da farlo suonare: era bello assaporarne la felicità.
Il tutto come a tessere una storia descrivendo solo il paesaggio circostante. Come se ogni poro della pelle fosse collegato agli altri attraverso il passaggio delle dita, in grado di mescolare le sostanze presenti su di essi.
Da quel giorno avverto un leggero bruciore percorrere le linee della mia mano.
Se la chiudo sento ancora la forza del vento che, non più carico di pudore, cerca di placare il mio bruciore, ma non è detto che non sia lui stesso ad alimentare queste ferite.
Questa è la storia di un veliero che un giorno decise di rilassarsi in cielo.
Vecchio guerriero che riposi in questo cielo, un giorno, per favore,trafiggimi il cuore!
Contributo visivo: Salvator Dalì posa in "Voluptas Mors", foto di Philippe Halsman, 1951
Ad un tratto
RispondiEliminaThank you
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