giovedì 22 ottobre 2009

Cosa mi piace di...

Sembrava un gabbiano che si stagliava all'orizzonte. Ali enormi che abbracciavano tutta la veduta dello spettatore. Come un pittore, ora, tracciava i lineamenti della figura che gli stava di fronte. Faccia scarna, labbra tumefatte, pelle giallognola. Seguiva con lo sguardo le sue dita ch si muovevano intorno alla sua figura riflessa allo specchio. Cosa gli piaceva della sua condizione? Il fatto che tutti i rapporti che aveva creato erano stupendi. Il fatto che erano parte di un dipinto se paragonati alla vita reale. Il fatto di sentirsi così superiore, così perfetto, mentre parlava con qualcuno. Il fatto di stare abbracciato, in quella condizione idilliaca, alle proiezioni che lui stesso aveva dato di sé, e che pure disprezzava. Il fatto di sentirsi così lontano da se stesso, dal mondo che lo circondava, senza neppure aver fatto un passo fuori dalla sua camera. Il fatto di sentire ogni parte del suo corpo sbattere freneticamente, come se si distaccasse da lui e fosse proiettata ad anni luce di distanza. Come se tutto fosse sincronizzato alle sue esigenze. Eppure... era una bestia selvaggia accasciata a terra. Sembra tutto così finto. Ora, come mosso da un primordiale bisogno alla sopravvivenza, nell'attesa che il suo carnefice passi ad acquietare i suoi istinti, si ferma davati allo specchio: si accorge che le sue enormi ali da gabbiano sono diventate esili braccia e che lo spettatore che lo sta fissando è il suo stesso corpo che chiede pietà.

Contributo visivo: "Zuert die fusse" di Martin Kippenberg, 1990

Relatività della certezza

Questa riflessione risale a un po' di tempo fa, quando vivevo nella speranza d'imparare l'arte dei funamboli.
"Il tepore è fuoco se l'orizzonte è solo sopravvivere. Le mie dita s'intrecciano su un pianoforte come le tue sulla tastiera. Ma la mia è una musica soffocata dal rumore di fondo che prende il sopravvento. Non ha ritmo. E così questo mio tempo è scandito da un non-ritmo. Il mio spirito balla su questa fune così sottile con un ritmo che ai comuni mortali non è dato conoscere. Per loro, la mia musica è silenzio."
Quella rete al di sotto della fune, che serve da protezione quando si è alle prime armi, ormai non c'era più. Mi ero così abituata alla sua idea, che qualche tempo fa dimenticai che fosse stata tolta. Il mio corpo, sulla fune, non ce la fece a compensare i due pesi che tenevano in equilibrio il bastone tra le mie mani: non sempre il nostro carico di esperienze riesce a bilanciare la mutabilità degli eventi.
Ed eccomi ora a sorseggiare un bicchiere di vino, aspettando che faccia la sua comparsa alla mia porta quel flaconcino portatore dell'idea di mondo che ognuno vuole darci.

Contributo visivo: opera sconosciuta ispirata da "Portrait of the journalist Sylvia von Harden" di Otto Dix, 1926

sabato 10 ottobre 2009

Questa parete non è mai stata così bianca...

Vedo fuggire queste ombre che mi circondano. Attraverso i volti con lo sguardo, buco gli occhi. Non si fermano, continuano a passare e a calpestarmi i piedi. Non mi fanno spazio. Mi soffocano, mi stringono e mi spingono contro di loro. Eppure la piazza vista da qui non è mai stata così ferma. Un'istantanea. Forse tutti immobili. Forse tutto così rapido da buttarsi alle spalle il tempo. Quello che ho appena fatto non è. Non è sangue, non è polvere. Non è vita, non è morte. Né principio, né fine. Né giusto, né sbagliato. Non potrei definirlo liberazione, non potrei definirlo gabbia. E' tutto quello che potrebbe non essere. E' tutto quello che fa fatica a prendere forma, perché una forma dovresti dargliela tu quando vedi tutto così in balia dei movimenti degli altri. Difficile da spiegare. Mi sposto. C'è solo dell'acqua per bagnare un po' le labbra. Non riesco più a ingoiare. Gino dice che la condivisione rende realtà ciò che non lo è...e allora tutto questo che vedo, che vedi, intorno a me è un grande polverone,un vespaio,una camera a gas. Un fremito mi dice che è ora di tornare indietro, ma solo per rievocare questa visione. Non ho la pretesa che questo mio intervento diventi realtà. Non può esserci condivisione quando sei tu l'osservatore passivo della tua follia.

Contributo visivo: copertina del libro "Choke" di Chuck Palahniuk, First Anchor Books Edition, 2002